Perché è importante la visita ortottica?
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Ambliopia (occhio pigro)
Strabismo
Lo sviluppo del linguaggio nei bambini
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Secondo la maggior parte degli studi dei linguisti il bambino ha completato lo sviluppo del linguaggio all’età di due anni. Tutto quello che avverrà in seguito sarà un perfezionamento e un arricchimento mentre le strutture di base sono determinate. Naturalmente ciò avviene nel caso in cui vi sia un’immersione in un ambiente di parlatori di una lingua e quindi il bambino sia costantemente in un bagno di suoni e di riferimenti che corrispondano a quei suoni. Nello sviluppo si possono verificare delle anomalie che producono un linguaggio povero, a volte limitato a sillabe o singole parole, o anche distorsioni della pronuncia che rendono incomprensibile ciò che il bambino vuole comunicare. Altre volte un bambino si esprime solo con gesti e qualche vocalizzo e sembra non abbia alcuna intenzione di passare al linguaggio verbale. Il mancato sviluppo o l’assenza di esso entro i tre anni di età compromette sia l’aspetto cognitivo che quello relazionale impedendo una evoluzione armonica. Inoltre se nei successivi tre anni non viene attuato un intervento per abilitare la comunicazione verbale del bambino spesso questa presenterà delle carenze che all’ingresso della scuola primaria porteranno a difficoltà negli apprendimenti di lettura e scrittura e poi nello studio. Nella mia esperienza di logopedista impegnata nella prevenzione e nella terapia dei ritardi e dei disturbi del linguaggio, ritengo molto positiva la valutazione della comunicazione al fine di monitorare lo sviluppo del linguaggio nei bambini dai 18 ai 36 mesi. Quando se ne presenta la necessità è poi importante procedere con programmi di stimolazione linguistica da attuare con la collaborazione dei genitori e con il bambino. E' altresì importante che il professionista incontri le educatrici della Scuola dell'Infanzia o del Nido per organizzare un intervento che segua in ogni momento della giornata il bambino nelle sue relazioni comunicative.
Logopedista Patrizia Faitin
Stare al tuo passo, l’incontro tra tempi soggettivi
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Stare al passo di un altro ci mette a confronto con un tema fondamentale che è quello del tempo soggettivo. Siamo abituati a concepire il tempo come un continuum che va dal passato, al presente e al futuro, seguendo una linea retta condivisa da tutti. L’identità personale si svilupperebbe proprio in questo continuum, che caratterizza la nostra percezione della realtà e la persistenza di un sentimento di continuità del sé. Ciascuno di noi tuttavia sperimenta come l’età cronologica non corrisponda sempre al tempo della psiche, così come a parità di età non ci si trovi sempre nella medesima tappa del ciclo di vita. Stare al passo con l’altro richiede dunque la capacità di osservarlo, di cogliere il suo tempo soggettivo e ad esso affiancarsi. Questa capacità di lettura del tempo soggettivo dell’altro sottende che nella relazione si eserciti un ascolto profondo e una flessibilità che permetta di “adattare il passo” alle possibilità cognitive, emotive, relazionali ed evolutive di un'altra persona.
Per chi si occupa di educazione in età evolutiva ciò si traduce in un’attenzione particolare a definire gli obiettivi non solo in base a criteri attesi per l’età, ma anche al punto di partenza del minore, alle sue risorse e aree di criticità, alle sue difficoltà. Richiede inoltre di esercitare una buona dose di flessibilità per rivedere la programmazione educativa sulla base dei momenti critici che possono presentarsi, tenendo presente che talvolta delle regressioni possono manifestarsi prima di un passaggio evolutivo. Alfredo Canevaro porta ad esempio il comportamento dei cormorani, che compiono ciò che lui chiama “re-progressione”:
-I cormorani sono uccelli marini che prima di abbandonare il nido regrediscono a comportamenti appresi nelle prime ore di vita: pigolano, dondolano fino a spiccare poi il volo. Un passo indietro per farne due in avanti, in una sorta di re-progressione, ovvero di una regressione finalizzata al progresso. Il cormorano, come l’uomo, aspira a diventare un essere indipendente, autonomo, e questo riesce a farlo solo dopo cinque salti/passi all’indietro. Dopo ogni salto, l’uccello marino regredisce a modi di agire più “infantili”, meno “organizzati”, per poi continuare fino a diventare “adulto”-
Se riusciamo a cogliere queste sfumature, possiamo accompagnare il minore nel suo percorso di crescita, individuando le zone di sviluppo prossimale, ovvero quei momenti in cui il bambino o il ragazzo è quasi pronto per un salto di crescita, per acquisire una competenza, proponendo obiettivi sfidanti ma raggiungibili e al momento giusto (per lui), sostenendolo e tollerando momenti di stallo o di regressione.
“L’incontro di due personalità è come il contatto tra due sostanze chimiche; se c’è una qualche reazione, entrambi ne vengono trasformati.” C.G. Jung
Dott.ssa Anna Francesca Saracco
Psicologa Psicoterapeuta
Scrivere bene, scrivere meglio
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Le immagini in terapia
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Nei percorsi psicoterapeutici vengono spesso utilizzate immagini e fotografie in quanto potenti strumenti relazionali che permettono di raggiungere la parte più profonda dell’essere umano, quella che si forma prima ancora del linguaggio e che dunque ha a che fare con l’emozione, l’intuizione, l’autenticità del sentire.
L’utilizzo di foto e immagini favorisce il superamento delle percezioni ovvie, automatiche, stimolando un cambiamento del punto di vista e un riattivarsi del processo creativo nel proprio modo di significare la realtà.
La fotografia è un linguaggio comunicativo che ci mette automaticamente in relazione con l’altro: quando scattiamo una foto c’è già nell’atto stesso la presenza di qualcuno che guarderà l’immagine che viene catturata. Questa forma d’arte risponde dunque alla pulsione autobiografica dell’essere umano, al bisogno di lasciare una testimonianza di sé, del proprio esserci, della propria esistenza.